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Venerdì nero Pt.1
Guardavo da quasi un’ora, dalla barella nell’astanteria del pronto soccorso del Regio ospedale Mauriziano, l’intermittenza luminosa di un neon che tirava gli ultimi spasimi sul soffitto.
In alternativa mi concentravo sui disegni dell’intonaco screpolato, sul quale l’umidità e il tempo, avevano creato la mappa geografica d'un continente immaginario.
In un’ora che stavo su quella barella ancora nessuno si era occupato di me.
Iniziavo vivamente a rompermi le palle, mi annoiavo in maniera feroce.
La barella su cui mi avevano parcheggiato era stretta e scomoda: non possedeva la testata reclinabile per tenere su le spalle e il cuscino che mi avevano fornito era basso e morbido come massello.
All’accettazione, per i sintomi accusati, mi avevano classificato col codice giallo, quindi non ero un caso disperato e dovevo lasciare precedenza a quelli urgenti.
D’altro canto sapere che non fossi in imminente pericolo di morte mi aveva un po’ tranquillizzato.
Non ero abituato a inattività prolungate, tanto meno se forzate come questa.
Avevo voglia di fumare: sarei uscito volentieri a sedermi sui gradini
d’entrata per accendermi la pipa, ma non me lo avrebbero permesso questi
scassa palle e mia moglie con loro.
Erano le otto di sera di un venerdì 12 di novembre, con nulla da invidiare a un classico e sfigato venerdì 17.
Era stata una giornata di merda.
Infatti, già di prima mattina per una delle solite banali questioni che animavano le nostre litigate, avevo avuto un vivace alterco con mia moglie, tale che ero uscito di casa sbattendomi dietro la porta.
Detestavo quelle discussioni con lei, in particolare quando avvenivano poco prima d'intraprendere un viaggio che m'avrebbe tenuto due giorni lontano da casa.
Preferivo partire lasciando una situazione di armonia domestica alle mie spalle.
Assentarmi con un litigio in sospeso, mi comprometteva il piacere della breve trasferta.
Se un litigio iniziava senza concludersi alla soglia di una mia partenza, mi portavo dietro una coda lunga, la quale, immancabilmente, riprendeva vita dal punto in cui si era interrotto, al mio ritorno
E nulla era più stressante del tornare a casa con la prospettiva di riprendere un bisticcio.
Che l’amore non fosse bello, se non fosse litigarello, andava bene per le giovani coppie, ma per le coppie con trent’anni di matrimonio alle spalle, divenivano uno scoglionamento sicuro.
Insomma la litigata del mattino e il malessere che ne era seguito mi avevano condotto su quella barella, rendendomi nervoso come un gatto chiuso in un sacco.
Avevo predisposto di partire il lunedì mattina successivo, mi attendeva un breve volo, Air One, già prenotato per Roma Fiumicino in classe turistica.
Check-in alle sette e quindici all’aeroporto di Caselle, con atterraggio a destinazione nelle due ore avanti.
Tutto già organizzato: in ufficio avevo detto che mi sarei assentato due giorni per sbrigare cose urgenti di famiglia.
Per mia moglie, invece, sarei stato via per una urgente questione di lavoro.
Avevo inventato di dover seguire gli avviamenti di stampa per il catalogo di un nostro cliente di Roma.
Come Art Director freelance dell’agenzia di pubblicità in cui lavoravo da alcuni anni, potevo pianificare la mia attività d’ufficio.
Potevo quindi muovermi con una certa libertà, se necessitavo di giornate libere, per sbrigare qualche mia incombenza, mi bastava avvisare quando e per quanto mi sarei assentato.
L'unico obbligo per me, era la consegna dei progetti che avevo in carico nelle date prefissate.
Quella mattina, in agenzia, c’erano stati dei grossi problemi.
Una fornitura commissionata in esterno non era stata consegnata nel tempo richiesto, pertanto eravamo in serio ritardo col lavoro di un importante cliente.
Quell’imprevisto rischiava di far saltare il mio viaggio del lunedì dopo.
Avevo passato la mattina litigando al telefono col fornitore, per trovare un rimedio al casino, ma un ritardo sulla consegna al cliente era inevitabile.
Per tanto dovetti chiamarlo personalmente per giustificare l'Agenzia e scusarmi in maniera umiliante.
Non fu molto comprensivo, mi investì di male parole.
Disse che quel ritardo era gravissimo, poiché mandava a monte la loro pianificazione per una importante operazione di marketing commerciale che avevano in corso.
Disse che non eravamo un'agenzia di pubblicità ma una rivendita di cioccolatai falliti.
Se l'Agenzia fosse stata mia, avrei rotto il rapporto e lo avrei mandato a fare in culo fottendomene del fatturato.
Ma essendo solo un addetto, non potevo fare altro che abbozzare, prostrarmi di scuse e ingoiare quella camionata di rospi, mettendo ulteriormente a dura prova il mio equilibrio nervoso della giornata.
In pausa pranzo avevo sentito mia moglie al cellulare sperando di fare pace.
Ma la nostra discussione aveva ripreso impeto con maggiore veemenza, al termine della chiamata avevo le vene sul collo paonazze di tensione.
A termine del pomeriggio avevo i nervi a fior di pelle, mi sentivo drogato di adrenalina e frustrazione, la mia pressione sanguigna doveva essere alle stelle. Sentivo la sensazione che la pelle mi si fosse ristretta di due taglie.
Da qualche mese che avevo scoperto di soffrire di una leggera ipertensione.
Il medico mi aveva prescritto alcune pastigliette betabloccanti da assumere regolarmente, ma il problema non mi dava particolari disturbi, quindi non preoccupandomi più che tanto, le prendevo quando me ne ricordavo.
Avevo bisogno di staccare dal lavoro e lasciarmi alle spalle la tensione della giornata.
Alla fine decisi di raccattare il materiale già pronto di un altro cliente e lasciare l’ufficio per effettuarne la consegna personalmente.
Questo cliente possedeva uno dei negozi più in vista d'abbigliamento maschile in centro, non distante dalla nostra sede.
Augurai un buon week end a tutti e con la mia sacca in spalla e il materiale del lavoro da consegnare sotto braccio, mi avviai.
Fuori era l’imbrunire, l’aria era frizzante e i lampioni lungo il corso Matteotti già accesi, le foglie secche d'ippocastano ricoprivano il viale stendendo un tappeto croccante sotto i miei passi, mi colmai i polmoni, già sentivo di respirare meglio.
Il traffico del fine settimana riempiva la strada, avevo acceso la pipa e tiravo con piacere soavi boccate.
Lasciai il controviale alberato per attraversare il corso, buttai distrattamente uno sguardo alla mia destra affinché non vi fossero auto in arrivo, quindi allungai il passo per attraversare la strada.
Ma come mi staccai dal marciapiede, fui bloccato dal suono rabbioso di un clacson: ebbi la prontezza di tirarmi indietro, mentre una BMV mi sfrecciò a un paio di centimetri dalla punta dei piedi.
Mi diedi del coglione, evidentemente avevo la testa altrove e non avevo prestato la dovuta attenzione alla strada prima di muovermi.
Tornai sul bordo del marciapiede e per precauzione attesi che il semaforo nell’incrocio più avanti, fosse rosso per i mezzi in arrivo, quindi rifeci il mio tentativo.
Si verificò nuovamente il problema con un’altra auto che, rischiando di travolgermi, parve apparire dal nulla a pochi centimetri da me.
Fui preso da sconcerto, quel veicolo si era indubbiamente materializzato all’improvviso, senza che ne avessi visto la provenienza.
Pensai essere vittima di una allucinazione. Che cavolo mi stava succedendo?
Vedevo macchine apparire dal nulla: stavo campando i dadi?
Forse era qualcosa legata allo stress della vivace giornata appena vissuta, o un effetto ritardato degli "acidi lisergici" consumati in gioventù che, come alcuni dicevano, potevano procurare tare al cervello che talvolta si rivelavano dopo molti anni.
Mi imposi la calma e cercai di ragionare su ciò che mi stava accadendo. Osservai per qualche minuto il traffico che proveniva dalla mia destra, così realizzai che qualcosa non funzionava bene nei mie occhi.
Mi coprì alternativamente ogni occhio con la mano e stabilì che mentre l'occhio sinistro conservava la solita efficienza, quello destro non mi consentiva di non vedere il punto di partenza dei veicoli, infatti li vedevo comparire solo quando si trovavano a qualche metro da me.
Mi riusciva di vedere il punto da cui iniziava il movimento, solo se ruotavo il capo completamente a destra.
In sostanza l'occhio aveva subito una limitazione del campo visivo e mi riusciva d’inquadrare solo la metà delle cose presenti su quel lato.
La cosa mi fece correre un brivido d'angoscia lungo la schiena.
Benché non percepissi al momento altri sintomi, non mi sembrava una cosa da prendere sotto gamba.
In ogni caso valutai rapidamente che non avvertivo altri disturbi fisici, le gambe erano solide e le forze non mi mancavano: quindi si trattava senza dubbio di un disturbo passeggero.
(Continua)